Le sfide della teologia (II). Lutero e le tentazioni che fanno il teologo
Diciamocelo subito: la formazione teologica non vale a niente se non impatta la vita intera del teologo. E’ questa la convinzione di Martin Lutero (1483-1546) a cui è dedicato un capitolo del libro Le sfide della teologia, a cura di A.J.B. Cameron e B.S. Rosner, Firenze, BE Edizioni 2021.
Il giovane monaco tedesco non poteva immaginare che la verità scoperta nel primo decennio del ‘500 avrebbe innescato un terremoto teologico tale da influenzare l’Europa di quel tempo. Quello che imparò dalle lettere ai Romani, Galati e dai libri dei Salmi gli permise di comprendere che la Scrittura è tutto ciò di cui la fede cristiana ha bisogno. Lui stesso afferma che sono stati i papisti a fare di lui “quel brillante teologo”, a dimostrazione che lo studio della Bibbia e la formazione teologica sono un mezzo per comprendere sempre di più la rivelazione di Dio.
Presto si rese conto quell’armatura costituita dallo studio delle dottrine bibliche gli sarebbe servita per affrontare le sfide personali e per prendere delle decisioni forti, anche a rischio della vita, per la difesa dell’Evangelo. Lutero comprese l’importanza dello studio teologico e quindi dall’applicazione della teologia attraverso la tentazione, la prova e la crisi. Per Lutero, oltre all’adorazione e alla meditazione, c’è un'altra componente della teologia che non deve essere sottovalutata: essa è la tentazione attraverso cui lo studio della teologia viene messo in pratica.
Dice Lutero: “Che razza di medico sarebbe quello che passa tutto il proprio tempo a scuola? Quand’egli finalmente si metterà a praticare la sua medicina e sarà costretto a confrontarsi più e più volte con la natura, si renderà conto di non aver mai praticato davvero la propria arte”! (p.30). Per la teologia è lo stesso discorso! Per Lutero non si può fare alcun progresso nella conoscenza cristiana se non la adattiamo alla nostra personalità tramite la preghiera, una continua meditazione e una pratica di vita che dalle sfide della stessa trae la propria alimentazione.
Il popolo di Dio ha bisogno di uomini e donne che fanno della formazione teologica uno percorso di crescita e di santificazione, scoprendone la ricchezza e la forza propulsiva in vista della maturazione (2 Corinzi 13,11).
Il popolo di Dio ha bisogno di persone appassionate di Dio e della Sua Parola; di uomini e donne formate e capaci di affrontare le sfide spirituali; di dottori capaci d’insegnare e in grado di tenere testa alle sfide personali. L’esperienza di Lutero ci permette di comprendere che un vero teologo, uomo o donna che sia, è modellato da Dio attraverso una vita provata, nonché della gioia di sapere di avere i propri peccati perdonati.
La teologia si impara sui libri (nello studio), sulle ginocchia (in preghiera), insieme ad altri (nella chiesa) e nelle tentazioni (nella vita). Se manca un pezzo, il risultato sarà una teologia astratta o evanescente o staccata dalla realtà. Una delle sfide della teologia è quella di rimanere nelle aule di una classe, nelle sale di lettura di una biblioteca, tra i banchi delle facoltà di teologia. Un vero teologo non si illuderà di sapere qualcosa su Dio per il solo fatto di aver letto molto, ma avrà la certezza di conoscere ed usare l’armatura della teologia quando si troverà davanti alle sfide della vita e ad esse risponderà in modo integro e perseverante.
Ancora Lutero: “Non è solo comprendere, leggere, dissertare, ma è vivere, anzi morire e dannarsi, che fa di un uomo un teologo” (p.35).
(continua)
Articoli precedenti:
“Le sfide della teologia (I). Agostino e la necessità della formazione” (24/3/2022)