La riforma protestante, l’evento che fece tremare l’Europa
Nel Museo Poldi Pezzoli di Milano, tra le tante interessanti opere, si trova un particolare dittico del 1529 ca. realizzato dalla bottega di Lucas Cranach il Vecchio, ritraente Martin Lutero (1483-1546) e sua moglie, Katharina Von Bora (1499-1552). Se da un lato il quadro riporta realisticamente e dettagliatamente la fisionomia della coppia, dall’altro, è intriso di un profondo e ricco significato storico-teologico. Come è noto, Lutero fu l’iniziatore della riforma protestante, l’evento che sconvolse l’Europa del sedicesimo secolo, mettendo in discussione l’insegnamento e l’istituzione della chiesa romano-cattolica e promuovendo un ritorno a una fede cristiana ancorata unicamente al messaggio della Bibbia (Sola Scriptura).
Già prima di Lutero, il lievito riformatore aveva cominciato a fermentare in diverse parti del Vecchio Mondo. Il teologo e traduttore inglese John Wyclif (1330-1384), mise in discussione l’autorità papale e il ruolo della chiesa quale mediatrice della grazia, la transustanziazione e le indulgenze, evidenziando la mancanza dei suddetti nel messaggio evangelico. Alcune delle sue idee furono ritenute eretiche, mentre altre erronee, e fu obbligato a ritirarsi dalla scena pubblica fino alla sua morte, la quale segnò solamente l’inizio della sua condanna: nel 1409 tutti i suoi scritti vennero considerati eretici e nel 1428, i resti del suo corpo furono riesumati e gettati in un fiume. Un decennio dopo la morte del teologo britannico, Jan Hus (1371-1415), teologo boemo e rettore dell’Università di Praga, riprese in mano gli scritti di Wyclif e condivise pressoché tutte le sue istanze. Anch’egli alzò la voce per sostenere la corruzione della chiesa e il suo allontanamento dall’insegnamento biblico, auspicando una presa di coscienza e un rinnovamento interno al mondo ecclesiastico. Il suo grido venne repentinamente soffocato: fu processato al Concilio di Costanza (1415) e successivamente bruciato al rogo.
È in questa scia che si colloca Martin Lutero, il monaco agostiniano che riuscì ad annaffiare e veder crescere il seme piantato dai precedenti proto-riformatori. All’età di 22 anni, mentre era di ritorno da una visita ai genitori, scoppiò un temporale e, rischiando di rimanere fulminato, promise a Sant’Anna di diventare monaco se l’avesse protetto dalle intemperie. Non venne meno alla parola data: entrò a far parte dell’Ordine agostiniano e studiò teologia, cercando di risolvere le questioni che tanto opprimevano la sua anima. L’angoscia di Lutero si inasprì quando nel 1510 visitò Roma, constatando la corruzione nella quale riversava la città papale e rendendosi conto che nemmeno la consueta usanza di fare la scala santa di S. Giovanni in Laterano in ginocchio, recitando il Paternostri, aveva alleggerito la propria oppressione spirituale. L’irrequietezza del monaco era dovuta al timore di un Dio giudice che punisce e condanna alla morte eterna i peccatori: nonostante fosse entrato in uno dei più intransigenti e ferrei ordini religiosi del tempo e nonostante partecipasse alle quotidiane messe, digiunasse e recitasse preghiere e salmi, riteneva di avere un cuore insanabilmente maligno ed era costantemente impaurito dell’ira punitiva di Dio.
La svolta decisiva avvenne quando approfondendo lo studio delle Sacre Scritture, materia da lui insegnata a Wittenberg, si soffermò sulla lettera ai Romani, in particolare sul primo capitolo versetti 16-17: “Infatti io non mi vergogno dell’evangelo di Cristo, perché esso è la potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco. Perché la giustizia di Dio è rivelata in esso di fede in fede, come sta scritto: «il giusto vivrà per fede»”. Comprese che oltre alla giustizia attiva di Dio, la quale punisce il peccatore impenitente, esiste una giustizia passiva che giustifica l’uomo corrotto che crede per fede (Sola fide) al messaggio del Vangelo, e così si convertì: “Mi sentii rinascere e mi sembrò di essere entrato attraverso le porte spalancate del paradiso…”. Nella comprensione del teologo tedesco, l’uomo, pur rimanendo peccatore in ragione della propria natura corrotta, nel momento in cui crede, è rivestito della giustizia perfetta di Cristo, e quindi, se da una parte continua ad avere una natura rinnovata, ma comunque soggetta al peccato, dall’altra, egli è giustificato dinnanzi a Dio in virtù del sacrificio espiatorio di Gesù (homo simul iustus et peccator).
L’adesione al messaggio evangelico ebbe ripercussioni su tutto il suo sistema teologico, creando un effetto domino: il 31 ottobre 1517 pubblicò le note 95 tesi affiggendole, come era solito fare ogni anno accademico, sulla porta della cattedrale di Wittenberg, sede dell’università dove insegnava, mettendo in discussione la dottrina delle indulgenze e affermando, sempre rifacendosi alla Bibbia, che la salvezza non si otteneva attraverso i meriti di opere pie o di soldi pagati alla chiesa, ma unicamente per mezzo della grazia di Dio (Sola gratia) elargita per mezzo dell’unico mediatore tra Dio e l’uomo: Gesù Cristo (Solus Christus). Grazie anche alla stampa, inventata nella metà del secolo precedente, le tesi del professore di Wittenberg fecero il giro dell’Europa, ricevendo acclamazioni suscitando lo sdegno di papa Leone X che ricattò di scomunicarlo se non avesse ritratto le sue affermazioni. Lutero rispose bruciando il diritto canonico e la stessa bolla papale, gettando il guanto di sfida che venne raccolto dall’imperatore Carlo V, il quale lo convocò alla dieta di Worms (1521) intimandogli di ritrarre le sue tesi, pena l’accusa di eresia e l’inevitabile morte. Lutero ebbe una notte per rifletterci e il giorno dopo si presentò dichiarando le sue celebri parole: «A meno che non venga convinto da testimonianze delle Scritture o da ragioni evidenti; poiché non confido né nel Papa, né nel solo Concilio, poiché è certo che essi hanno spesso errato e contraddetto loro stessi. Io sono vincolato dalle Scritture che ho citato e la mia coscienza è prigioniera della Parola di Dio. Non posso e non voglio ritrattare nulla, perché andare contro coscienza è disonesto e pericoloso. Non posso fare diversamente. Qui io sto! Che Dio mi aiuti! Amen». Questo discorso segnò l’inizio di un’escalation riformatrice e rinnovatrice che avrebbe portato conseguenze durature, sia negative che positive, nella vita dei suoi contemporanei e delle generazioni successive, in nome della gloria di Dio (Soli Deo Gloria).
Per ulteriori approfondimenti:
Aa.Vv.,“Riforma e riforme”, Studi di teologia XXIX (2017/1).
Lucia Felici, La riforma protestante nell’Europa del Cinquecento, Roma, Carocci 2016.
Alister E. McGrath, La riforma protestante e le sue idee sovversive, Chieti, GBU 2017.
Michael Reeves, La fiamma inestinguibile. La scoperta del cuore della riforma, Mantova, Coram Deo 2019.
Valdo Vinay, La riforma protestante, Brescia, Paideia 1982.
(questo articolo è ripreso dalla rivista Pane quotidiano XXX [2022] N. 99, pp. 17-19)